


Croce Carolingia
La croce di marmo bianco, probabilmente greco, alta quasi due metri e larga uno e mezzo, che ora si trova nella prima cappella a sinistra, è una preziosa nonché pregevole testimonianza dell’arte religiosa del periodo carolingio nel nostro territorio, da sempre il simbolo stesso della Pieve di Budrio.
Fu fatta costruire nell’anno 828 da un certo prete Pietro, come recita l’iscrizione sulla parte inferiore del fusto:
“In nomine Domini nostri Jesu Christi Imp. Domin. Nost.
Hludovicus et Hlotarius eius filio,
anno imperii eorum Cristo iuvante quarto decimo et sexto, die octavo mensis novembris per Indictione sexta Petrus Presbyter fieri rogavi”
(Nel nome del signore nostro Gesù Cristo, essendo imperatore Ludovico e Lotario suo figlio, nell’anno del loro impero – con l’aiuto di Cristo – quattordicesimo e sesto, l’ottavo giorno del mese di novembre, Indizione sesta, io Pietro ‘prete’ ordinai che fosse fatta).
Sulla parte anteriore della traversa, nei piccoli spazi vuoti tra una decorazione e la successiva, si trova incisa e appena visibile l’arcana iscrizione “SYL’AHICE“, che l’arciprete Francesco Bartolucci interpretò come “Silianus Presbiter hic jussit crucem erigi“, cioè “Silvano Arciprete ordinò che qui fosse eretta la croce”.
Fu collocata originariamente nel crocevia tra l’antico decumano, oggi via Partengo, e la via della Pieve, secondo l’uso antichissimo e precristiano di posizionare nei quadrivi un simbolo sacrale: edicole o pilastrini votivi con immagini sacre o, in epoca cristiana, le croci. Successivamente venne posta all’interno dell’oratorio di S. Giuliana, sorto nello stesso luogo, quasi a protezione della croce: nelle Memorie della Pieve in data 1614 è infatti scritto che la nostra chiesa “habet tam annexam edicola quandam beatae Iulianae virgini et martiri dicatam non procul ab ipsa plebe distantem satis pulchre fabrifactam cum misteriis inventionis Sanctissimae Crucis…”.
La croce rimase all’interno dell’oratorio fino al 1937, quando fu trasportata alla Pieve a causa del grave stato in cui versava l’oratorio.
Il basamento su cui si regge è costituito dal frammento di una antica colonna scanalata in arenaria ocra, di ignota provenienza, che reca ancora deboli tracce dell’antica colorazione amaranto; la colonna, a sua volta, poggia su di una pietra di forma quadrangolare.
Il fusto e la traversa si compongono di due monoliti, scolpiti a formare l’incastro, il quale è fissato nel punto centrale con un sottile perno in ferro, attentamente nascosto nella decorazione.
Il fusto superiore e la traversa sono ornati da un delicato motivo a rilievo di una fascia intrecciata. Il fianco del fusto e della trave sono ornati con un motivo a nastro ondulato. Sul retro la decorazione è ancora più ricca ed è rappresentata da un motivo a tralci di acanto, che ricopre l’intera superficie, componendo spirali che scorrono ad incorniciare rosette e stelle esagonali, di matrice certamente longobarda, come avverte il Bodmer, ma fortemente influenzati dall’arte bizantina-ravennate.
Ed è proprio la reinvenzione delle forme geometriche astratte “tipiche dei dominatori d’oltralpe” in un respiro più elegante e armonioso, indizi della tradizione classica latina, che portano la critica più attenta (Servetti Donati) a inscrivere quest’opera nel periodo artistico-politico-culturale chiamato “rinascenza carolingia“.
Per meglio visionare le incisioni sulla croce, può essere utile esaltarne i chiaroscuri scorrendole con una sorgente luminosa laterale, per esempio una torcia: l’effetto sarà sorprendente!