Foglietto settimanale dal 19 al 26 Marzo 2023

Vedere per credere o credere per vedere?

Non sempre vogliamo vedere come stanno veramente le cose, forse per paura di portarne il peso, o perché speriamo che la realtà cambi da sola, fatto sta che arriviamo a capire che una relazione si è usurata solo quando è troppo tardi. Chiudiamo gli occhi davanti alle ingiustizie, alle situazioni drammatiche, illudendoci di non esserne responsabili. Non vediamo perché il nostro sguardo preferisce fermarsi alla superficialità delle cose (vedi 1Sam 16,7).

Ma fin dall’antichità vedere e sapere sono sempre stati profondamente legati, sapere qualcosa, significa averla vista.

Vedere la realtà è una grande responsabilità, e ha sempre delle conseguenze, ma questa capacità non avviene da un momento all’altro. Tutti siamo in qualche modo ciechi, soprattutto nella nostra vita spirituale ma Gesù vuole aiutarci a vedere meglio, conoscere meglio noi stessi, ma soprattutto conoscere più profondamente chi è Lui.

È quando siamo nelle tenebre, che Gesù ci è vicino, ci sostiene: non cancella la notte, ma si fa luce per accompagnarci. Il male, il dolore fanno parte della nostra umanità, ma è anche il luogo dove emerge la forza di Dio, che trasforma ogni storia di male in una storia di salvezza. “Non ne hanno colpa né lui né i suoi genitori, ma è così perché in lui si possano manifestare le opere di Dio”. (Gv 9,3)

Gesù ci ridona la vista per farci riprendere il cammino attuando in noi una nuova creazione. Fango e saliva richiamano il gesto d’amore originario della creazione: Dio trae l’uomo dal fango e mette dentro di lui un alito di vita. Quando il Signore ci apre gli occhi, ci dona una nuova vita, ci fa nascere di nuovo.

Sia il testo della Samaritana, che il racconto del cieco nato sono stati riletti dalle prime comunità cristiane in chiave battesimale e l’itinerario compiuto dal cieco nato è immagine del cammino di ogni uomo che si avvicina alla fede e rinasce.

L’immersione è il gesto battesimale (baptizo vuol dire appunto immergo) che avviene a Siloe, (che, vuol dire “Inviato”), e l’inviato per eccellenza è Gesù stesso, che è l’inviato del Padre.

Il cieco nato è invitato a immergersi in Gesù per rinascere e ogni neofita: è invitato a scendere nella vasca battesimale per incontrare Gesù e consegnare a lui l’uomo vecchio (la parte peggiore di noi, il nostro peccato).

L’incontro, la conoscenza con Gesù non è un fatto magico, immediato, richiede tempo necessita di un cammino. Giovanni attraverso i titoli con cui il cieco chiama Gesù, ci presenta il cammino che lo porta a conoscere Gesù:

all’inizio Gesù è semplicemente un uomo («Quell’uomo, che chiamano Gesù» Gv 9,11);

ai Farisei che lo interrogano dice che è un profeta («Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”». Gv 9,17);

alla fine dopo essere stato cacciato dalla sinagoga, il cieco guarito fa la sua professione di fede, Gesù è per lui il Signore («Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui». Gv 9,38).

Davanti a Gesù siamo chiamati a prendere posizione, a deciderci, a scomodarsi a non essere ciechi. Ed essere testimoni vuol dire inevitabilmente compromettersi, e il discepolo deve mettere in conto il rifiuto, l’incomprensione, l’umiliazione, perché prendere posizione per Gesù costa.

Il cieco guarito viene buttato fuori dalla comunità, dal contesto sociale, ma Gesù si mette a cercarlo, e quando ci lasciamo trovare da Dio è lì che si compie il cammino.

Gesù nei versetti successivi (cap. 10) si presenta come la porta del recinto, porta che è sempre aperta! Il mondo potrà anche chiuderci le porte, voltarci le spalle, buttarci fuori, ma la porta che fa entrare nella vita piena, nell’incontro con Gesù, rimarrà sempre aperta!

Chiediamoci allora: Sto cercando di conoscere veramente il Signore? Sono disposto a compromettermi per Gesù o faccio finta di non conoscerlo?